10.12.2020

Elementi psicologici della testimonianza

10.12.2020

Elementi psicologici della testimonianza

Tratto da “La testimonianza nel processo penale: profili sostanziali e criticità tra psicologia e diritto”, Dott. Marco Pino, 2017. Riproduzione riservata

 

Testimonianza e memoria.

In Giappone, in un tempo imprecisato tra l’VIII e il XII secolo, durante il periodo storico denominato “Heian”, tre uomini – un boscaiolo, un passante ed un monaco – si trovano a cercare riparo dalla pioggia battente al confine della città di Kyoto, sotto una porta in rovina che un segnale indica chiamarsi porta di Rashomon.[1]

I tre cominciano a conversare circa un episodio accaduto qualche tempo prima in un bosco non lontano, fatto al quale il boscaiolo avrebbe assistito direttamente: un samurai e la propria moglie stavano camminando insieme quando venivano attaccati da un brigante, il quale avrebbe ucciso l’uomo e abusato della donna.

Nel corso del processo che ne è seguito, gli eventi vengono raccontati da quattro testimoni: il brigante, la moglie del samurai, il samurai ormai defunto (evocato attraverso un medium) ed il boscaiolo. Ma cosa è successo realmente in quel bosco? La donna ha subito un abuso, o era invece consenziente? Ed il samurai ha lottato eroicamente oppure è stato ucciso mentre tentava di fuggire come un vigliacco? Oppure ancora si è tolto la vita per il disonore del palese tradimento della consorte?

Ognuno dei testimoni narra una versione diversa e contrastante con le altre, ma tutte risultano egualmente plausibili e credibili. L’impressione è che ognuno di loro abbia assistito ad un evento diverso, anziché al medesimo fatto.[2]

Il film di Kurosawa mostra con efficacia come gli stimoli ambientali, le percezioni soggettive, le emozioni, il vissuto personale, gli strumenti cognitivi e le aspettative di ognuno si possano combinare, contribuendo a costruire la rappresentazione di una realtà che non è oggettiva, bensì è il risultato della ricostruzione che ne ha fatto ogni individuo.

La psicologia ed il diritto – per scienza e per esperienza – conoscono molto bene quanto il processo di formazione dei ricordi ed il loro successivo recupero possano andare incontro a distorsioni ed errori che generano narrazioni spesso sorprendentemente lontane dalla oggettività dei fatti, ma che risultano assolutamente veritiere per il teste.

Il legislatore ha cercato di porre rimedio a queste alterazioni disponendo che le domande rivolte al testimone abbiano ad oggetto esclusivamente fatti determinati e, al contempo, che le risposte fornite si conformino a tale stringente necessità, evitando che vengano riferite opinioni, valutazioni ed inferenze personali.

Se così non fosse, sarebbe chiaramente compromessa la possibilità di conoscere le circostanze con la maggiore oggettività possibile, poiché il racconto sarebbe per gran parte costituito da ciò che pensa il testimone; servono invece fatti, la cui valutazione sarà poi riservata al vaglio del giudice al momento della decisione.

Il teste è dunque chiamato a ricordare con la maggior precisione possibile circostanze e particolari, magari a distanza di anni e su aspetti dell’evento che potevano anche essergli apparsi marginali. A ciò si aggiunga che vi sono innumerevoli fattori di distorsione che generano nel soggetto rappresentazioni interiori che non sono mai la mera riproduzione dell’esperienza vissuta, bensì ne sono una ricostruzione complessa e articolata.

Solitamente un teste che risponda con sicurezza alle domande che gli vengono poste e che esponga in modo chiaro e lineare i fatti su cui è chiamato a deporre viene percepito come un teste affidabile, il cui ricordo appare integro e preciso. Neanche tale circostanza è però garanzia di fedeltà della ricostruzione, dato che anche nel caso in cui la persona ritenga di riferire il vero e lo faccia in piena buona fede, convinta della genuinita di quello che narra, la testimonianza puo risultare fortemente alterata rispetto al reale accadimento dei fatti.

Non tutte le testimonianze sono problematiche e incerte, ma molte lo sono ed è proprio in ragione di ciò che l’attenzione ai meccanismi di formazione del ricordo e del successivo recupero appaiono fondamentali per poter meglio valutare quanto viene narrato in un setting particolare qual è il processo penale.

 

Il funzionamento della memoria: come e dove memorizziamo. Codifica, immagazzinamento e recupero.   

La memoria ricopre un ruolo fondamentale affinché una persona possa rendere testimonianza; la capacità ed il modo di immagazzinare le informazioni e di riuscire a recuperarle successivamente nel corso del tempo sono elementi che direttamente incidono sulla qualità e sul contenuto del ricordo.

Per riuscire a ricordare, chiunque deve però confrontarsi con le tre funzioni fondamentali della memoria: la codifica, l’immagazzinamento ed il recupero[3].

La codifica:

Un ricordo può nascere solo in seguito ad una attività di apprendimento, attraverso la quale un’informazione viene recepita. La codifica è appunto il primo passo del processo attraverso il quale ciò che percepiamo, pensiamo o sentiamo viene trasformato in memoria persistente.

A lungo si è ritenuto che la memoria fosse sostanzialmente un sistema di mera registrazione delle informazioni percepite dal soggetto, quasi una immagine fotografica o un filmato che riproducesse esattamente l’evento; si trattava di una prospettiva apparentemente verosimile e sensata, ma ampiamente errata.

La formazione del ricordo è in realtà un processo ricostruttivo che si avvale delle nuove informazioni percepite così come delle conoscenze già possedute dal soggetto, componendole e creando una propria rappresentazione dell’esperienza vissuta; il risultato di questo processo è ciò che viene trattenuto come ricordo duraturo.

La codifica può avvenire con tre differenti modalità: elaborativa, visiva e organizzativa. La modalità con cui lo stimolo esterno viene acquisito, pensato e associato alle conoscenze preesistenti è un passaggio determinante per la trasformazione del percepito in ricordo:

i)La codifica elaborativa ha luogo quando il soggetto pone attivamente in relazione le informazioni appena acquisite con quelle già presenti in memoria.[4] Diversi studi anno evidenziato che la focalizzazione sul significato dell’informazione – definita analisi semantica – costituisce una delle strategie migliori per la ritenzione di un ricordo per un tempo prolungato.[5] Il “filtro” del significato consente al soggetto di associare l’informazione a diversi altri elementi significativi già posseduti in memoria, collocando così il nuovo input in una rete di connessioni rilevanti che facilita l’immagazzinamento ed il successivo recupero. La codifica elaborativa avviene per lo più in maniera inconscia ed automatica, soprattutto quando si tratti di fatti ed esperienze che trovano naturale inquadramento in un contesto personale composto da altri fatti ed esperienze che godono già di una potente rappresentazione interiore nella persona. Inserire nuovi elementi in una narrazione mnemonica preesistente facilita così la memorizzazione di quanto viene aggiunto.

ii)La codifica visiva consiste invece nella trasformazione delle nuove informazioni in immagini mentali. L’accento viene dunque posto non più sul significato semantico del percepito, bensì sulla sua dimensione visiva. In questo caso il soggetto “guarda” l’informazione, l’associa ad una immagine e la rivede all’interno della propria mente. Gli studi effettuati mediante fMRI hanno evidenziato che in questo caso vi è la chiara attivazione delle aree del lobo occipitale, deputato appunto alla elaborazione visiva. Gli stessi studi avevano invece rilevato l’interessamento dei lobi frontali e temporali nel caso di codifica elaborativa, congruentemente con la funzione di tali strutture.[6]

La codifica visiva si serve comunque in parte dei meccanismi propri della codifica elaborativa, poiché anche la creazione dell’immagine mentale avviene in relazione alle informazioni già presenti nel soggetto: l’associazione non avviene più in relazione al significato del percepito, ma ad una sua rappresentazione visuale evocativa. Si tratta anche in questo caso di una narrazione interiore, non più semantica, bensì affidata al linguaggio visivo.

iii)La codifica organizzativa si avvale invece della distribuzione e della collocazione degli stimoli in diverse categorie, a seconda delle relazioni esistenti tra le informazioni stesse, solitamente attraverso le somiglianze, ma eventualmente anche rispetto alle differenze; ciò consente di raggruppare i diversi item facilitandone l’accorpamento e classificandoli per caratteristiche congruenti. Tale modalità di codifica risulta strettamente correlata con la regione superiore del lobo frontale sinistro.[7]

 

L’immagazzinamento:

Una volta che la percezione viene trasformata in ricordo mediante la codifica, i ricordi appena generati vengono “stivati” nel cervello, per poi essere eventualmente recuperati quando necessario. L’immagazzinamento – definito anche fase di ritenzione – è appunto il processo attraverso il quale le informazioni vengono consolidate nella memoria, permettendo il successivo recupero della traccia mnestica in un tempo successivo.

Sono stati individuati tre grandi “magazzini” di conservazione dei ricordi, distinti per la quantità di tempo in cui l’informazione può essere mantenuta all’interno di ognuno di essi: memoria sensoriale, memoria a breve termine e memoria a lungo termine.

E’ necessario in primo luogo rammentare che l’attività mentale – analogamente per quanto avviene per i processi fisici – si muove all’interno della dimensione spaziale e di quella temporale, e richiede l’utilizzo di energia per il compimento di ogni processo.

L’elemento temporale risulta evidente laddove si consideri che il nostro cervello impiega tempi diversi a compiere operazioni mentali con differente grado di complessità[8] ed anche la componente dello spazio appare significativa ai fini della memorizzazione; si pensi ad esempio alla limitata capacità della memoria a breve termine di contenere un numero di elementi pari a 7+-2[9]; tale caratteristica risulta costante e consolidata indipendentemente dalla lunghezza delle serie di stimoli sottoposte ai soggetti.[10]

Quanto infine all’utilizzo di energia, anche sotto questo profilo non si può prescindere dal considerarne le caratteristiche: le risorse disponibili per svolgere i processi mentali non sono infinite ed il loro limite è determinato da numerosi fattori concorrenti quali il livello di attivazione, il carico imposto, la circostanza che si tratti di processi controllati – con conseguente interessamento della coscienza e maggior richiesta di energie e di tempo di attuazione – o automatici, ben più rapidi ed economici, svolgendosi al di sotto della soglia di coscienza. Ne deriva che esiste un limite di tipo biologico all’elaborazione contemporanea delle informazioni: non è tuttavia una soglia omogenea per tutti gli individui, né prefissata o stabile, ma varia soggettivamente ed in relazione alla prestazione contingente richiesta.[11]

A riguardo è altresì emerso che lo svolgimento contemporaneo di compiti che richiedono l’impiego della stessa abilità comportano maggiore interferenza tra loro – con conseguente aumento della difficoltà di esecuzione e diminuzione della performance – rispetto a compiti che necessitano di abilità differenti; ciò accade con ancora maggiore incisività con il passare del tempo quando l’informazione è infrequente.[12]

Il processo di immagazzinamento, così come quello di codifica e di recupero, sono dunque strettamente influenzati dalle caratteristiche soggettive di ogni individuo e possono generare esiti anche estremamente differenti, come si argomenterà in seguito, in sede di escussione del testimone.

La memoria sensoriale è la forma di immagazzinamento più volatile e rappresenta il primo stadio immediatamente disponibile, ove gli stimoli provenienti dagli organi di senso vengono recepiti e trattenuti per un periodo di tempo molto limitato, quantificabile in pochi secondi.

In ragione della molteplicità dei sensi esistono diversi tipi di memoria sensoriale; tra questi vi sono la memoria iconica – ovvero il deposito a celere decadimento degli stimoli sensoriali visivi – e la memoria ecoica, deputata a trattenere, anch’essa per breve tempo, le informazioni uditive.[13]

I magazzini sensoriali raccolgono un numero estremamente elevato di stimoli provenienti dall’ambiente circostante, i quali, se non vengono focalizzati dall’attenzione – e ciò accade per la maggior parte degli stimoli – svaniscono in brevissimo tempo e vengono persi.[14]

Un secondo magazzino disponibile è quello della memoria a breve termine, dove le informazioni non sensoriali vengono mantenute per più di qualche secondo, ma per meno di un minuto.[15]

Usualmente il termine di permanenza dell’informazione in questo tipo di memoria è limitato a circa 15-20 secondi, dopo di ché le informazioni si perdono.

Per mantenerle è necessario ricorrere alla ripetizione, processo mediante il quale le informazioni vengono ripetute mentalmente: si tratta in sostanza di un re-inserimento dell’input nella memoria a breve termine che gli garantisce un ulteriore periodo di sopravvivenza di poche decine di secondi.

Come già sopra indicato, il limite di questo magazzino non consiste solo nella durata di conservazione degli elementi, bensì anche nel numero dei medesimi che può essere trattenuto, pari a 7 item con una variazione di più o meno 2.

E’ interessante però notare che è possibile ampliare questo ristretto range di collocazione ricorrendo al c.d. “chunking”, ovvero l’aggregazione di più informazioni in un singolo blocco significativo – chunck, appunto – più grande. In questo modo i 7 item che possono essere trattenuti dalla memoria a breve termine possono contenere in realtà un maggior numero di informazioni.

Da alcuni decenni il concetto di memoria a breve termine è stato sostituito da un modello maggiormente evoluto e dinamico di memoria a capacità limitata; si tratta della “memoria di lavoro”, la quale può essere definita come un sistema che consente al contempo la conservazione temporanea delle informazioni e la loro contestuale manipolazione durante l’esecuzione dei compiti cognitivi che utilizzano tali informazioni.[16]

La memoria a lungo termine è invece il luogo deputato a ritenere le informazioni per un periodo di tempo decisamente più esteso, che può protrarsi da alcune ore a molti anni, a volte anche per tutta la vita della persona. Inoltre, a differenza degli altri due magazzini, questa memoria non presenta limiti di capacità e si articola in diversi tipi di memoria con specifiche funzioni.

La principale distinzione consiste in memoria esplicita e memoria implicita. La prima si riferisce al consapevole e intenzionale recupero da parte del soggetto dei ricordi di esperienze passate, mentre la seconda è correlata alle influenze che le esperienze passate esercitano sui comportamenti e sulle prestazioni successive della persona, anche se questa non ne è consapevole e non sta cercando di recuperare il ricordo di tali specifici vissuti.[17]

La memoria esplicita a sua volta si divide in memoria semantica, avente ad oggetto l’insieme di fatti e conoscenze di ordine generale, e in memoria episodica, quest’ultima focalizzata sugli eventi che sono entrati a far parte dell’esperienza personale del soggetto in un tempo ed in un luogo particolare. La memoria episodica consente una sorta di viaggio nel tempo, riportando l’individuo ad uno specifico passato e consentendogli di riviverlo nella ricostruzione operata dal ricordo. Questo particolare tipo di memoria è quella principalmente coinvolta nella narrazione testimoniale, nell’ambito della quale viene chiesto al teste di rievocare fatti determinati.

 

Il recupero:

Il recupero del ricordo è il processo che consente di estrarre l’informazione dai magazzini di memoria in cui è stata stivata e portarla al livello di coscienza del soggetto. Tale emersione può avvenire attraverso la rievocazione dell’informazione – il richiamo autonomo alla mente del ricordo – oppure mediante il riconoscimento, ossia l’identificazione di stimoli esterni come coincidenti con quanto già appreso e immagazzinato in memoria.[18] Numerosi test hanno confermato che usualmente si ottengono risultati decisamente migliori nelle prove fondate sul riconoscimento di stimoli già visti in precedenza, rispetto alle prove che implicano sforzi mnemonici in assenza di spunti che possano agevolare il recupero.

Il recupero però può a volte essere difficoltoso o addirittura impedito: ciò non accade unicamente in ragione del fatto che il ricordo dell’informazione si sia deteriorato o sia andato perso, ma può anche derivare da un errato processo di ricerca di quel particolare ricordo.

Anche a livello biologico emerge evidente la complessità delle strutture e delle funzioni deputate all’apprendimento e alla memoria. Nel nostro encefalo risultano essere numerose le strutture cerebrali deputate al ricordo e ai differenti tipi di memoria, sebbene non vi sia ancora certezza sulla distribuzione delle funzioni e sul ruolo svolto da ogni area.

Il lobo temporale – in particolare l’ippocampo e le strutture circostanti – e il diencefalo – con il talamo ed i corpi mamillari – sembrano avere un ruolo rilevante nel consentire il passaggio dell’informazione dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine, così come anche nel controllo dei contenuti della memoria dichiarativa o esplicita. La corteccia associativa è invece probabilmente coinvolta nella funzione della memoria semantica, nel processo di codifica nella memoria a lungo termine e nel recupero dalla medesima, mentre la corteccia prefrontale potrebbe occuparsi della memoria episodica e della memoria a breve termine. I gangli della base, infine, sembrerebbero svolgere una funzione rilevante nella memoria procedurale o implicita.

Oltre alle strutture cerebrali, svolgono un ruolo fondamentale nei processi di memoria anche i neurotrasmettitori che vengono rilasciati nella fessura sinaptica, consentendo così la comunicazione neuronale. E’ ormai accertato che le connessioni sinaptiche vengano rafforzate dall’attività di comunicazione che intercorre tra i neuroni: la forza della trasmissione neurale si accresce attraverso un fenomeno definito LTP (Long-term potentiation) che rende più agevole la comunicazione successiva. E’ questa la base neurologica della memoria a lungo termine ed è stato provato come i mutamenti nelle sinapsi siano direttamente connessi con la capacità di formazione del ricordo nel soggetto, così come anche di ritenzione e recupero.[19]

La funzione mnemonica è dunque costituita e determinata da una molteplicità di fattori psicologici, neurobiologici e chimici assolutamente complessi, esposti inoltre a numerosi elementi di alterazione di natura endogena ed esogena.

[1] Lett. “La porta nelle mura difensive” n.d.a.
[2] “Rashomon”, Akira Kurosawa, Daiei Motion Picture Company, Giappone, 1950.
[3] D. L.. Schacter, D. T. Gilbert, D. M. Wegner , Psicologia generale, Bologna, Zanichelli, 2010.
[4] S.C. Brown, F. Craik, Encoding and retrieval of information, in E. Tulving, F. Craik (eds.), The Oxford handbook of memory, New York, Oxford University Press, 2000
[5] E. Tulving, F. Craik (eds.), The Oxford handbook of memory, New York, Oxford University Press, 2000.
[6] S.M. Kosslyn, N.M. Alpert, W.L. Thompson et al., Visual mental imagery activates topographically organized visual cortex: PET investigations, in Journal of Cognitive Neurosciences, 1993, 5/3.
[7] P. C. Fletcher, T. Shallice, R. J. Dolan, The functional roles of prefrontal cortex in episodic memory, I. Encoding. Brain, 121,  1998a
[8] D. Salmaso, Attenzione e memoria, in L. Caldana (Editor), La riabilitazione della memoria dopo danno cerebrale, Roma, Marrapese, 1990.
[9] G. Miller, The Magical Number Seven, Plus or Minus Two: Some Limits on Our Capacity for Processing Information, in Psychological Review, 1965, 63, 2.
[10] D. Salmaso, G.Viola, Il declino della memoria nel normale invecchiamento, in Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria, 1989, 3.
[11] D. Kahneman, Attention and Effort, Upper Saddle River, NJ, 1973.
[12] N.H. Mackworth, Researches on the Measurement of Human Performance, London, H.M. Stationery Office, 1950.
[13] G. Sperling, The information available in brief visual presentations, in Psychological Monographs: General and Applied, 74, 11, 1960.
[14] D. Salmaso, G.Viola, op. cit.
[15] D. Schacter, D.T. Gilbert, D. M. Wegner, op. cit.
[16] G. Hitch, A. D. Baddeley, Working Memory, in Psychology of Learning and Motivation, Vol. 8, 1974.
[17] P. Graf, D.L. Schacter, Implicit and explicit memory for new associations in normal and amnesic subjects, in Journal of Experimental Psychology: Learning, Memory, and Cognition, 1985.
[18] H. Ebbinghaus, Memory: A Contribution to Experimental Psychology, New York city, Teachers college, Columbia university, 1913.
[19] L. A. Freberg, Psicologia biologica, Bologna, Zanichelli, 2007.