27.02.2023

Riconoscimento giudiziale della paternità o maternità naturale

27.02.2023

Riconoscimento giudiziale della paternità o maternità naturale

Il legislatore, conscio della prioritaria importanza del tema dell’accertamento della paternità e della maternità naturale, ha stabilito all’art. 270 c.c. che l’azione per procedere alla relativa dichiarazione giudiziale sia imprescrittibile per il figlio e ciò anche nell’ipotesi di decesso del presunto genitore.

Il diritto al riconoscimento di uno status filiale congruente con la verità biologica rappresenta infatti per ogni individuo una componente essenziale del diritto all’identità personale, diritto questo individuato come fondamentale ed inviolabile dall’art. 2 Cost. – nonché protetto anche dalla normativa sovranazionale, tra cui art. 8 CEDU – oltre che da costante giurisprudenza di legittimità, poiché connota profondamente la vita individuale, sociale e relazionale di ciascuna persona, tanto da poter generare ricadute estremamente pregiudizievoli nella sfera psico emotiva dell’interessato laddove vi sia compromissione del medesimo. Da ciò la necessità di consentire l’esperimento di detta azione senza limiti di decadenza ed anche verso gli eredi del presunto genitore (cfr. tra le altre, Cass. Sez. VI, ordinanza n. 1667 dep. 24.01.2020).

In ordine alla prova della paternità, posto il dettato normativo di cui all’art. 269 c.c. – il quale consente che detta prova possa essere fornita con ogni mezzo – si annoverano molteplici elementi che possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice, tra i quali in particolare la rappresentazione delle circostanze di tempo e di luogo in cui si sono svolti gli eventi che hanno condotto al rapporto intimo tra i genitori ed alla conseguente generazione del figlio, la testimonianza del genitore che ha riconosciuto il figlio, la testimonianze di altri soggetti direttamente a conoscenza dei fatti, la produzione di documenti, nonché l’esecuzione di esami genetici tesi a valutare la corrispondenza tra il patrimonio cromosomico del presunto genitore e quello del figlio. Qualora il presunto genitore sia venuto a mancare, gli accertamenti genetici possono esser eseguiti sugli eredi del medesimo, ed in mancanza può essere disposta anche l’acquisizione di campioni biologici eventualmente ancora presenti presso strutture ospedaliere o – quando possibile – la riesumazione del cadavere e l’acquisizione di materiale biologico. Appare evidente che pur a fronte di tale ampio spettro di possibilità di prova, l’esame genetico risulti essere – dato l’altissimo grado di affidabilità attualmente raggiunto – lo strumento che consente la maggiore obiettività e rapidità di risultato, senza tuttavia togliere pregio alle pur importanti risultanze che possono derivare dalle acquisizioni testimoniali.

Sul punto, la Suprema Corte ha avuto cura di specificare come non sussista una gerarchia o una pregiudizialità di qualsivoglia natura tra gli strumenti di prova posto che “[…] l’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici non è subordinata all’esito della prova storica dell’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre, giacché il principio della libertà di prova, sancito in materia, dall’art. 269, comma 2 c.c., non tollera surrettizie limitazioni, né mediante la fissazione di una gerarchia assiologica tra i mezzi istruttori idonei a dimostrare quella paternità, né, conseguentemente, mediante l’imposizione, al giudice, di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge, e risolvendosi una diversa interpretazione in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione in relazione alla tutela dei diritti fondamentali attinenti allo status” (cfr. Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 3479/2016 e Cass. Civ. Sez. I, sent. n. 28330/2020).

Sempre la Suprema Corte ha inoltre sottolineato come, ai sensi dell’art. 269, comma IV c.c., sebbene la sola dichiarazione della madre e l’esistenza di rapporti tra la medesima ed il presunto padre non costituiscano di per sé prova della paternità biologica, tali circostanze in concorso con altri elementi – anche presuntivi – possono essere legittimamente valutate a sostegno del convincimento del Giudice del merito (cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 12646/2011).

Non si dimentichi poi che la previsione normativa circa la legittimazione ad agire nell’azione giudiziale di paternità naturale, contenuta nell’art. 276 c.c., correlata all’interpretazione dell’art. 269 c.c., comma 2 e 4 “pone in evidenza che le dichiarazioni della madre naturale assumono un rilievo probatorio integrativo, ai sensi dell’art. 116 cod. proc. civ., indipendentemente dalla qualità di parte o dalla formale posizione di terzietà della dichiarante. Ne consegue l’inapplicabilità, ai fini della valutazione di tali dichiarazioni, del parametro dell’incapacità a testimoniare contenuto nell’art. 246 c.p.c., costituendo esse, per espressa previsione normativa e nei limiti dell’art. 269 c.c., u.c., uno degli elementi di fatto di cui non si può omettere l’apprezzamento ai fini della decisione” (Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 12198 del 2012, dep. il 17/07/2012). Autorevole giurisprudenza di merito (Trib. di Milano, Sez. IX civ., ordinanza 29 aprile 2013, est. G. Buffone) ha inoltre precisato che il rito applicabile al procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità è quello del modello processuale di cognizione ordinaria, pertanto l’azione ex art. 269 c.c., anche qualora si tratti di minori, deve essere deve essere esperita a mezzo di atto di citazione.