14.04.2021

Un corretto approccio da parte degli attori processuali

14.04.2021

Un corretto approccio da parte degli attori processuali

Tratto da “La testimonianza nel processo penale: profili sostanziali e criticità tra psicologia e diritto”, Dott. Marco Pino, 2017. Riproduzione riservata

 

Il giudice e gli esperti: l’interazione tra scienza e diritto.

La capacità di testimoniare costituisce un aspetto particolarmente rilevante e delicato, in relazione al quale frequentemente la scienza – e la psicologia in particolare – è chiamata dal giudice a fornire il proprio contributo a mente dell’art. 196 c.p.p..

Come autorevolmente precisato, il testimone è idoneo a rendere testimonianza quando “nei suoi meccanismi psichici non si ravvisa, da un punto di vista clinico, alcun processo che possa inficiare precisione, obiettività, serenità di percezione, di conservazione e di rievocazione (con tutte le riserve insite in ogni discorso che riguardi i ricordi). Il che non significa che egli dica o abbia detto la verita. Puo benissimo darsi che egli non la voglia dire, che sia un bugiardo, un calunniatore, un diffamatore. Affermare che egli è idoneo significa solo che egli, se vuole, e in grado di dire la verita attraverso una narrazione e una rievocazione espositiva libere da funzionamenti mentali immaturi, conflittuali o patologici. Ne consegue che anche uno psicotico, il cui funzionamento mentale rispetto al fatto narrato e conservato, puo essere ritenuto idoneo a rendere testimonianza. Il testimone non è idoneo a rendere testimonianza se nel suo funzionamento mentale sono presenti alterazioni patologiche della memoria, del pensiero, della percezione, dell’affettivita e di altre funzioni psichiche, tali da inficiare del tutto la sua possibilita di dire il vero, quand’anche egli lo voglia”.[1] Il rapporto tra giudice ed esperto nel giudizio penale è tuttavia molto delicato, poiché impone di far dialogare diritto e scienza, ponendo in rapporto funzionale saperi che hanno linguaggi e finalità diverse.

Quando il giudice ritiene che vi sia necessità di ricorre all’intervento dell’esperto, risulta fondamentale in primo luogo la corretta formulazione del quesito che viene sottoposto al tecnico, onde evitare la sovrapposizione e la confusione tra le valutazioni che sono proprie del giudice ed il parere specialistico che viene richiesto all’esperto.[2] Accade infatti con estrema frequenza che il giudice formuli un quesito che delega di fatto al perito – in maniera piu o meno palese – la valutazione della credibilita del testimone, determinando cosi una indebita commistione di funzioni, di competenze e di responsabilità.

Il perito non deve infatti valutare le dichiarazioni rese dal teste, ma unicamente la sua idoneita a rendere testimonianza ai sensi dell’art. 196 c.p.p., operando sulla base di metodologie affidabili, palesate e scientificamente condivise; mentre la valutazione dell’attendibilità di quanto riferito dal testimone spetta solamente al giudice. Egli solo può e deve valutare se questi abbia dichiarato il vero o il falso.

Nel rapporto tra giudice ed esperto deve altresi segnalarsi una legittima ed inevitabile evoluzione del significato del brocardo “iudex peritus peritorum[3], il quale indica che il giudicante non è vincolato alle conclusioni peritali raggiunte dagli esperti, ma se ne può discostare restando ovviamente sempre legato all’obbligo di adeguata motivazione.

L’estrema specializzazione e la complessità raggiunta sia dalle scienze che dalla tecnica ha esteso l’ambito dei saperi in maniera tale da non essere piu realisticamente padroneggiabile dal singolo, ivi compreso il giudice. Anzi, a maggior ragione la responsabilita connaturata al ruolo del giudicante impone che questi adotti ogni cautela per arrivare ad emettere una ‘giusta’ decisione. La Suprema Corte di Cassazione ha opportunamente rilevato la necessita di una evoluzione del rapporto con l’esperto in giudizio, sottolineando che il brocardo che individua il giudice come “peritus peritorum” deve essere oggi inteso nel senso di attribuire a quest’ultimo il ruolo di garante della scientificità della conoscenza fattuale e tecnica emersa nel processo. Stante la estrema complessità e specializzazione raggiunta in numerosi campi scientifici, non è pensabile ritenere che il giudice possa avere una competenza specifica tale da consentirgli di sostituirsi al perito; chi giudica è però chiamato a vigilare sulla fondatezza metodologica della prova scientifica portata nel processo, valutando la correttezza dell’approccio utilizzato ed evitando al contempo che tale prova scientifica diventi prova legale tout court, senza alcun vaglio critico; è questa una valutazione che è sempre possibile su base logica, anche in assenza della specifica conoscenza specialistica dell’esperto. [4]

Pertanto anche nel caso di necessità nel corso del giudizio di valutazione psicologica, neuropsicologica o psichiatrica sulla idoneità di un soggetto a rendere testimonianza, l’esperto deve palesare la metodologia adottatta e l’iter logico-causale che lo ha condotto alle conclusioni formulate, cosi da consentire al giudice ed alle altre parti processuali la possibilità di interloquire.

Le parti processuali hanno infatti la possibilita di nominare un proprio consulente tecnico di parte per partecipare alle operazioni peritali[5], il quale peraltro, se dissente dalle conclusioni formuate dal perito incaricato dal giudice può chiedere che ne venga data puntuale menzione nella relazione conclusiva. Anche in questa ipotesi, il ruolo del giudice rimane fondamentale nell’operare un vaglio critico sia sulle conclusioni del perito che sulle eventuali valutazioni divergenti formulate dai consulenti di parte.

 

4.2 La ricerca della verità ed il problema della “committenza

Un aspetto probabilmente piu in ombra di altri rispetto al tema dell’intervento dei periti e dei consulenti di parte in giudizio è quello relativo al tema dell’influenza che il committente può esercitare sul lavoro dell’esperto.

Per un tecnico, accettare la nomina proveniente dal PM, dalla difesa, dalla parte civile o anche dal giudice significa di fatto collocarsi in una prospettiva di valutazione che è diversa per ognuno di tali ruoli, sicché è da quel luogo che egli guarderà al processo.

Volendo qui escludere l’ipotesi aberrante – ma purtroppo non rara – in cui l’esperto sia pronto in misura più o meno ampia ad alterare dati e valutazioni pur di fornire un parere congruente con le aspettative di chi lo ha incaricato[6], non si può tacere che anche nella più trasparente attitudine del consulente di parte o del perito vi sia la tendenza a compiacere chi lo ha nominato.

Il momento della proposta e dell’accettazione dell’incarico è già di per sé significativo delle dinamiche del rapporto che si viene a creare tra committente ed esperto, allorché il tecnico accetta di fare propria la visione del committente. Solitamente ogni attore processuale ha i propri esperti di riferimento – PM e giudici in particolare – e ciò può contribuire a favorire l’instaurazione di dinamiche di particolare aderenza alle aspettative di chi fornisce l’occasione di lavoro. Non si tratta necessariamente di venire meno alla propria professionalità, bensì di fare propria la prospettiva – legittima, ma soggettiva – con cui il committente si approccia al processo.

La scelta del perito in particolare assume una valenza molto significativa, in quanto è lo specialista nominato dal giudice: i criteri di selezione dovrebbero essere rigorosi e tali da garantire la sua competenza e imparzialità. Il legislatore non ha però disposto particolari cautele, limitandosi ad indicare che il giudice può scegliere il perito tra i nominativi degli iscritti in appositi albi[7] oppure rivolgersi a soggetti “forniti di particolare competenza nella specifica disciplina”.[8]

I dati scientifici non sono sempre interpretabili in maniera univoca – non solo in base al risultato, ma anche rispetto alla metodologia con la quale sono stati ottenuti – ed ancora di più si prestano a discussione le valutazioni che hanno ad oggetto gli aspetti psichici di un soggetto; prendono così vita interpretazioni che possono essere estremamente difformi a seconda del punto di vista dell’osservatore.

I più noti casi di cronaca portano a livello di diffusione mediatica ciò che accade quotidianamente nelle aule di giustizia: i consulenti dell’accusa e della difesa, come anche i periti del giudice, si confrontano e solitamente si pongono su posizioni antitetiche pur confrontandosi sugli stessi elementi. E’ possibile cercare di fare prevalere la propria tesi anche solo ricorrendo ad una accurata cernita dei dati che si vogliono presentare al giudice, enfatizzando quelli favorevoli alla propria posizione e ponendo in ombra invece quelli contrari.

Tale operazione è favorita dalla differente natura dei saperi sussistente tra scienza e diritto, circostanza questa che può sovente generare la difficoltà per gli operatori del diritto – ed in particolare per chi dovrà giudicare – di comprendere la reale valenza probatoria degli elementi scientifici che vengono proposti.

Da molti è stata avvertita l’esigenza di indirizzare l’attività dello psicologo forense, nella consapevolezza che è necessario coltivare una cultura etica condivisa ed accolta.

Oltre al Codice Deontologico degli psicologi, il quale costituisce la regolamentazione fondamentale degli esperti in psicologia, sono stati redatti altri documenti di notevole autorevolezza che forniscono indicazione sullo svolgimento dell’attività dello psicologo.

Tra questi vi sono le Linee Guida per lo psicologo Giuridico, redatte nel 1999 ed aggiornate nel 2009 con approvazione del Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica e dell’Assemblea dell’Associazione Italiana di Psicologia Giuridica, le quali costituiscono ad oggi l’unico unico protocollo deontologico di carattere generale rivolto alla psicologia giuridica.

Tra i diversi punti, giova rammentare quanto indicato all’art. 4 delle citate Linee Guida, ove viene espressamente sottolineata la necessità che lo psicologo giuridico mantenga la propria indipendenza scientifica e professionale nei rapporti con magistrati, pubblici ministeri ed avvocati. L’autonomia del professionista – in particolare in relazione alla scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici che intende utilizzare – deve essere mantenuta anche nell’ambito del mandato ricevuto dall’Autorità Giudiziaria nell’ambito del procedimento giudiziale, seppure nell’ambito del mandato ricevuto in relazione al procedimento giudiziale.

E’ dunque sempre più pressante la necessità che gli esperti abbiano non solo una adeguata formazione tecnica, ma anche una solida base etica e deontologica che possa arginare gli effetti distorcenti della committenza e consentire all’esperto di resistere alle manipolazioni alle quali può scegliere di esporsi.[9]

Prima ancora che strumento di tutela dalle influenze esterne, è auspicabile che l’etica divenga somma di valori realmente interiorizzati, guida alla quale l’esperto aderisce non per dovere, ma per reale condivisione. Il processo è oggi orientato verso una crescente importanza dei dati scientifici ai fini dell’accertamento della verità e proprio per questo il peso delle ricadute dell’attività dell’esperto lo pone in una posizione di grande responsabilità umana – ancora prima che professionale – rispetto agli esiti del giudizio, rappresentati dalla diade innocenza/colpevolezza.

[1] U. Fornari, Trattato di psichiatria forense, Torino, Utet, 2015.
[2] Art. 226 c.p.p.
[3] “Il giudice è il perito dei periti” (n.d.a.)
[4] Cassazione, Sez. IV pen., sent. n. 33582 – 2016
[5] Art. 225 c.p.p.
[6]Sono frequenti i casi di test di laboratorio effettuati da esperti del Federal Bureau of Investigation produttivi di risultati falsi o artificiosi: chimici, biologi, patologi, analisti appartenenti alla polizia federale che hanno contraffatto o addomesticato gli esami da loro svolti per fare il gioco dell’accusa, con l’effetto di contribuire alla condanna di molte persone innocenti. D’altronde già alla fine degli anni settanta del secolo scorso, a seguito di un’indagine sull’efficienza dei laboratori scientifici al servizio degli investigatori, è emerso che i livelli di competenza sono estremamente differenziati e che la capacità di svolgere le analisi più complesse è in molti casi inadeguata, tanto da indurre gli studiosi a sollecitare l’elaborazione di standard minimi di affidabilità, di procedure-tipo e di requisiti di certificazione degli esperti chiamati davanti alle corti.” S. Lorusso, Il contributo degli esperti alla formazione del convincimento giudiziale, in Archivio Penale, 2011, 3.
[7] Art. 67 disp. att. c.p.p.
[8] Art. 221 c.p.p.
[9]Senza il supporto di regole etiche condivise, gli scienziati forensi possono trasformarsi in hired gun, armi prezzolate al servizio delle parti”. Introduzione e breve storia delle scienze forensi , in M. Picozzi, A. Intini (a cura di), Scienze forensi. Teoria e prassi dell’investigazione scientifica , Torino, UTET, 2009.